Quando si parla di crisi dell'Eurozona, l'opinione più diffusa (sui media) è che essa sia dovuta solo e soltanto alla sciatteria e dissennatezza economica degli Stati periferici, i celebrerrimi Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna).
Secondo la vulgata mediatica, in questa situazione chi è chiamato a tappare le falle e tenere a galla il barcone europeo è la laboriosa e virtuosa Germania.
Il governo di Berlino, si dice, è costretto a sostenere il peso di una crisi che non ha minimamente contribuito a generare; di cui, peraltro, è semmai vittima, visti gli sforzi che è costretta a sostenere per tutti.
Chiunque in questi mesi abbia sostenuto tesi diverse, e tendenti a considerare la Germania parte attiva del problema, è stato messo all'indice; il modello tedesco non può essere messo in discussione, "perchè rappresenta lo standard dell'eccellenza europea".
Il che probabilmente è vero. Ma non in presenza di un sistema come quello della moneta unica.
L'euro è stato una manna dal cielo per l'espansione dell'economia tedesca; ed il suo successo è stato la disgrazia di altre economie europee.
Ma di questo ne abbiamo già parlato altre volte volte, mettendo in luce la visione dogmatica della fede nella moneta unica europea; ed in rete sono molte le voci, alcune autorevolissime, che hanno ben spiegato la natura degli squilibri dell'euro. Il fatto è che queste voci erano confinate nelle riserve indiane dell'informazione "alternativa".
Però c'è una grossa novità: il tema ha valicato la barriera del web, ed è approdato "niente popò di meno" che sul canale dell'informazione economica mainstream per eccellenza...
(Il Sole 24ore, 8/6/2012) Nella guerra degli egoismi che si combatte ormai giornalmente sui mercati finanziari, travolti da montagne di debiti pubblici e privati, spicca la mancanza di solidarietà della Germania in Europa. Non vi è dubbio che alcuni Paesi, in particolare Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, abbiano vissuto sopra le loro possibilità nell'ultimo decennio.
Ma se la Germania ha l'ambizione di guidare l'Europa non può continuare a opporre solo dei no ai partner che, oltre ad accettare il nuovo rigore fiscale che Berlino giustamente pretende, propongono anche una uscita comune dalla crisi con una parziale mutualizzazione dei debiti e più crescita (gli eurobond garantirebbero l'una e l'altra).
C'è chi ritiene che la Germania sia un Paese perfetto, perché nello stesso tempo competitivo e virtuoso più di tutti: quindi anche nella posizione di pretendere molto dagli altri e di dettare le regole. Che ciò sia vero in parte è un dato di fatto. Ma, appunto, solo in parte.
Si consideri, ad esempio, la competitività e la sua manifestazione più evidente, cioè un forte avanzo commerciale.
Senza l'esistenza dell'Eurozona, la Germania con un proprio tasso di cambio indipendente non avrebbe mai potuto accrescere come in questi anni il suo surplus commerciale e portare la sua posizione netta sull'estero dal 4,5% del Pil del 1999 al 38,4% nel 2010. Gran parte della competitività tedesca, in altri termini, si è basata sul cambio.
La Germania non sarebbe mai diventata così forte senza l'euro e l'acquisto massiccio di prodotti tedeschi da parte dei suoi partner europei, per di più spesso e volentieri finanziati da banche tedesche con tassi per esse molto remunerativi. Secondo nostri calcoli su dati Eurostat, dal 1999 al 2011 la Germania ha accumulato con Spagna, Portogallo e Grecia un surplus commerciale complessivo di ben 301 miliardi di euro correnti. Altri 298 miliardi di surplus cumulato la Germania li ha avuti dalla Francia e "solo" 185 miliardi dall'Italia. Per inciso, la cifra più bassa dell'Italia è anche una dimostrazione implicita della maggior competitività manifatturiera del nostro Paese verso la Germania stessa, alla quale vendiamo molto e da cui importiamo soprattutto auto di lusso in virtù delle nostre elevate capacità di spesa.
Senza l'euro e il gigantesco flusso continuativo di surplus commerciali provenienti dai partner dell'Eurozona, difficilmente i tedeschi avrebbero potuto costruire quello stock di attività nette estere che oggi permette loro di guardare dall'alto verso il basso i Paesi mediterranei. La solidità finanziaria della Germania, infatti, non è data tanto dal basso debito pubblico (che in rapporto al Pil è tutt'altro che trascurabile e in rapporto al patrimonio nazionale è simile a quello italiano) ma dalla montagna di crediti che la Germania ha accumulato in anni di attivi bilaterali crescenti con i suoi partner dell'Eurozona.
In definitiva, da quando è nato l'euro la Germania ha potuto godere come economia esportatrice di uno status privilegiato non molto diverso da quello della Cina, la cui moneta è da anni "ancorata" al dollaro, nonostante l'enorme surplus commerciale di Pechino. Quello tedesco è stato un vero e proprio "dumping valutario" tra partner europei che ha straordinariamente favorito una Germania oggi però davvero poco riconoscente verso gli acquirenti dei suoi prodotti.
Un caso a dir poco unico: infatti, perlomeno la Cina ha abbondantemente reinvestito i proventi dei propri surplus commerciali in America ed in America li ha lasciati anche dopo il fallimento di Lehman Brothers. La Germania, invece, prima ha prestato soldi ai Paesi mediterranei che compravano i suoi prodotti e poi, scoppiata la crisi di Atene, ha cominciato a rimpatriare liquidità e a ridurre sistematicamente le sue posizioni. Oggi, col «flight to quality» Berlino sta addirittura aspirando dal Sud Europa denaro fino all'ultima goccia e, con i bassi tassi che la crisi europea le permette di piazzare alle aste dei Bund, finanzia ancora una volta con un approccio non propriamente solidale la propria crescita.
Non è stato un greco o uno spagnolo ma un ex ministro degli esteri tedesco, Joschka Fisher ieri sul Sole 24 Ore, a dichiarare che in questo modo la Germania rischia di distruggere per la terza volta l'Europa in un secolo.
Forse che adesso si possa cominciare a ragionare seriamente sui costi/benefici della moneta unica?
Che stia finendo la sbornia ideologica/teologica dell'europeismo oltranzista?
Vedremo.
Stay tuned
E' tutto vero!,però in un'economia globalizzata,non si può rimproverare alla germania di vendere bene i suoi prodotti!Se noi compriamo le loro auto di lusso,non possiamo rimproverarle di vendercele,siamo noi che dovremmo cominciare a preferire i nostri prodotti,per una questione di interesse dei nostri lavoratori e non di quelli tedeschi,e questo anche se i loro prodotti ci piacciono di più,non sorprendiamoci poi se i nostri lavoratori si trovano disoccupati,e l'economia va male,la colpa è sopratutto nostra.
RispondiEliminaIl popolo tedesco è molto nazionalista e patriottico!
RispondiEliminaQuesto dovremmo anche noi imparare ad esserlo,e comprare prodotti nostrani!!E' molto meglio se i soldi italiani rimangono in Italia e non vanno in germania.
Cari "anonimi"(avrei salutarvi almeno con un nick, ma vabbè...), grazie per essere intervenuti.
RispondiEliminaIl problema che sollevate è antico, e non attiene solo a questioni politico-economiche.
Per capirci, io non ho sempre acquistato auto italiane, e dove possibile, prodotti italiani in ogni altro campo merceologico.
Vi dirò di più: cerco di fare attenzione nell'acquisto di prodotti alimentari, prediligendo quelli di origine più vicina(il concetto del chilometro zero).
Tutto questo non per questioni ideologiche, ma di semplice opportunità: se lascio la maggior parte dei miei soldi sul territorio, lo stesso può finanziare meglio il suo sviluppo; o quantomeno mantenere le sue posizioni in termini imprenditoriali ed occupazionali. Che a loro volta significano maggiori risorse agli enti locali, migliori servizi, qualità della vita in genere e così via.
Ritornando alla questione del post di cui sopra, l'euro ha sostanzialmente tolto alle Nazioni che lo hanno adottato la capacità di proteggere ed incentivare la crescita del proprio tessuto produttivo.
E per una Nazione come l'Italia, che vive di manifatturiero, la flessibilità valutaria della moneta è importante; non avendola, la sua politica economica è monca in potenza.
La Germania, facendo il suo legittimo interesse, ha utilizzato la rigidità della moneta unica per contenere e marginalizzare i suoi competitors. Allo stesso tempo, la politica dei bassi tassi d'interesse della Bce, rendendo il denaro a "buon mercato" ha facilitato il credito nei Paesi periferici. Risultati (pro Germania):
-aumento delle esportazioni tedesche
-bilancia commerciale clamorosamente in attivo
-aumento del peso politico intra-europeo
Risultati (per gli altri):
-perdita di competitività
-peggioramento della bilancia commerciale
-difficoltà di finanziamento della spesa
-aumento del debito pubblico
Ciao Peppe..lascio dei dati per i tuoi ospiti,tu li conosci
RispondiEliminaI LUOGHI COMUNI PIÙ DIFFUSI SULLA VIRTUOSA GERMANIA
1. Per la Germania la fine del marco e la convivenza con valute più deboli nell’euro è stata un handicap
Secondo Frank Mattern, capo di McKinsey in Germania, è vero il contrario: “la Germania con l’euro ha guadagnato moltissimo”. Negli ultimi dieci anni un terzo della crescita dell’economia tedesca è dovuto all’euro (165 miliardi nel solo 2010).
I motivi principali: fine dei costi di transazione e di assicurazione contro il rischio di cambio; crescita del commercio intraeuropeo; e crescita delle esportazioni tedesche proprio per il fatto che l’euro è una valuta più debole di quanto sarebbe stato il marco (il contrario vale per la lira). Inoltre l’euro ha abbassato molto i tassi d’interesse dei paesi periferici portandoli al livello di quelli tedeschi, con conseguente incremento dei consumi in quei paesi, a beneficio dell’export tedesco. In questo modo il saldo della bilancia dei pagamenti della Germania – in rosso al momento dell’introduzione dell’euro – è cresciuto nel decennio del 41%, sino a 1.021 miliardi di euro (dati Eurostat).
http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche/
2. La maggiore competitività della Germania è dovuta al fatto che i tedeschi lavorano più degli altri e che la loro produttività del lavoro è in continua crescita
I tedeschi non lavorano più degli altri: in Italia ogni lavoratore lavora 1.711 ore, in Germania 1.419. Anche i guadagni di produttività sono prossimi a quelli di altri Paesi europei (benché superiori a quelli italiani): ad esempio, la produttività totale dei fattori è cresciuta dal 1997 a oggi di un modesto 5%, pari all’aumento conseguito dalla Francia e ben al di sotto di quello statunitense (13%). E allora dov’è il segreto? Nella deflazione salariale, ossia nel fatto che dal 1998 i salari tedeschi sono diminuiti, rispetto alla media dell’Eurozona, dell’uno per cento all’anno. Ciò ha depresso la domanda interna, ma ha spinto le esportazioni. E infatti, come si legge in una recente ricerca del Centro Europa Ricerche, “dal 1997 a oggi, rispetto all’Eurozona, la Germania ha aumentato le proprie esportazioni del 30 per cento, mentre ha diminuito la propria domanda interna di 15 punti”. In pratica, “la riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto rispetto al resto dei paesi europei, ossia il miglioramento della competitività di prezzo all’interno dell’Eurozona, è stata ottenuta dalla Germania grazie al contenimento delle dinamiche salariali”.Questa strategia per competere (non particolarmente moderna) ha tra l’altro il difetto di non essere generalizzabile. Al contrario, funziona soltanto a patto che non la adottino anche gli altri. E infatti, osservano i ricercatori del CER, “se tutti i paesi europei avessero seguito la strada della deflazione salariale, l’economia tedesca non avrebbe realizzato alcun guadagno di competitività” e l’esito sarebbe stato unicamente un generale abbassamento dei salari reali. Invece, a causa degli Stati “viziosi” dell’Europa, così non è stato, e la “virtuosa” Germania ha potuto piazzare i propri prodotti in grande quantità.
http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-2/
3.La Germania ha i conti in ordine e adotta pratiche fiscali trasparenti
RispondiEliminaLa Germania ha più volte sforato il tetto del 3% nel rapporto deficit/pil. Questo è avvenuto già prima della crisi, dal 2003 al 2005. All’epoca, però, la Commissione europea decise di non agire su pressione della stessa Germania (e anche della Francia, che aveva problemi simili). Dopo lo scoppio della crisi la Germania ha poi messo in campo il maggior piano di stimoli per l’economia realizzato in Europa, pari al 3% del suo pil. Inoltre, dal 2008 a oggi, ha speso 93 miliardi di euro per salvare le sue banche. Anche lo scorso anno il deficit è stato superiore al limite di Maastricht, nonostante il peso molto inferiore degli interessi sul debito rispetto alla gran parte degli altri paesi europei, mentre il rapporto debito/pil è salito all’83% (il tetto di Maastricht è il 60%).Quanto alle pratiche fiscali, il 40% del debito pubblico tedesco è allocato presso fondi speciali, il cui deficit non figura nel bilancio federale. Per fare un esempio, gli incentivi per la rottamazione, uno dei cardini del sostegno all’industria automobilistica tedesca, non sono stati posti a carico del bilancio dello Stato ma del fondo pubblico Itf, e sono stati giustificati come “investimenti per le tecnologie verdi” mentre erano un sussidio ai consumi interni. In questo modo tra il 2009 e il 2011 il governo tedesco ha fatto passare come investimenti ben 20 miliardi di euro di spese a sostegno dell’economia.
http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-3/
4. Anche la Germania sta pagando la crisi del debito, per questo vuole mettere ordine
La caduta della domanda interna nei paesi europei colpiti dalla crisi del debito ha fatto diminuire le esportazioni tedesche verso questi paesi, e secondo Patrick Artus di Natixis ciò ha comportato una minore crescita del pil dell’1,5%. Ma la fuga verso i titoli di Stato tedeschi ne ha abbassato gli interessi di oltre il 2%, con un risparmio per lo Stato tedesco di quasi un punto di pil (0,9%). La crisi ha comportato anche un significativo deprezzamento dell’euro(-17% circa), con conseguente crescita del volume delle esportazioni extraeuropee del 2,4%: un altro 0,8% di prodotto interno lordo guadagnato. Fatte le somme, il saldo della crisi per la Germania per ora è positivo, sia pure in misura contenuta: lo 0,2% del pil per il 2011. A questo va aggiunto che le aziende tedesche oggi possono procurarsi prestiti a tassi significativamente inferiori a quelli delle imprese italiane, spagnole, francesi.
http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-4/
5. Per la Germania è inaccettabile che l’Unione Europea diventi un’Unione di trasferimenti (Transferunion)
RispondiEliminaÈ inaccettabile per Angela Merkel, ma non per la Linke (che chiede proprio questo), e neppure per la Spd. Il capogruppo Spd al Bundestag, Frank-Walter Steinmeier, in un’intervista allo Spiegel, ha sostenuto che trasferimenti di ricchezza in Europa avvengono da tempo ma dal Sud verso il Nord, grazie alla maggiore competitività della Germania, e che servirebbero oggi trasferimenti anche in direzione opposta, proprio per evitare che gli squilibri tra i paesi facciano saltare l’euro. Frank Mattern propone addirittura un “piano Marshall” per i paesi del sud Europa, nell’interesse delle esportazioni tedesche. Anche i cinesi, del resto, comprano titoli di Stato Usa per continuare a esportare negli Stati Uniti.
http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-5/
6. La Germania è contraria all’intervento diretto della BCE nella crisi perché si ricorda che l’iperinflazione degli anni Venti portò al potere Hitler
Se la Bce accettasse di sostenere illimitatamente i titoli di Stato europei, non è vero che si avrebbe una forte inflazione. Negli Usa, dove la Fed ha comprato buoni del tesoro per oltre 1.600 miliardi di dollari, l’inflazione è intorno al 3,5%. Inoltre, a portare Hitler al potere non è stata l’inflazione del 1923. Sono state le politiche deflazionistiche dei primi anni 30, attuate – in Germania e altrove – proprio per paura dell’inflazione. Lo storico Richard Overy nel suo Crisi tra le due guerre mondiali le ha descritte così: “I politici cercarono di evitare qualsiasi cosa che minacciasse la stabilità della moneta e dei bilanci in pareggio. In Francia lo stato perseguì una rigida politica monetaristica sino al 1936, riducendo gli stipendi dei funzionari pubblici e dei dipendenti dello stato, e tagliando le spese per la difesa e l’assistenza sociale. Nella Germania del 1932 si ebbe una serie di tagli forzosi sui salari pubblici, sulle rendite e sulle pensioni». Purtroppo, suona piuttosto familiare…
http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-6/
Ciao George,
RispondiEliminagrazie per il "corposo" contributo...
A presto,
Peppe
Penosa disinformazione.
RispondiEliminaSe avessi argomentato...In assenza di valide ragioni; anzi, in assenza di ragioni...lasciami dire "Penoso commento".
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