Quante volte avete sentito parlare di queste paroline magiche? Non c'è governo,o premier, che non le metta al primo posto della sua "agenda programmatica".
E questo perchè è evidente che la crisi stia iniziando a far accortocciare su se stesso il sistema produttivo ed industriale del Paese.
Eppure c'è un settore che, nonostante la crisi globale sembri voler azzannare tutto e tutti, continua a mostrare segnali di crescita: parliamo dell'export agroalimentare.
In questo settore il volume è aumentato del 13%, e si attesta su un volume di 28 miliardi di euro. Bella cifra eh?
Ai 28 miliardi di cui sopra andrebbero aggiunti altri 60 miliardi...Anzi,mi correggo: andrebbero sottratti 60 miliardi. Adesso vi spiego meglio.
I 28 miliardi dell'export agroalimentare sono i soldi che le aziende del settore primario (produzione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli) ricavano dal loro business.
60 miliardi è invece l'ammontare del guadagno ricavato dalle aziende che fanno dell'Italian sounding la loro attività. Ma cos'è questo Italian sounding?
Si tratta semplicemente della vendita di prodotti agroalimentari realizzati con materie prime straniere,ma confezionate con nomi che richiamano prodotti tipici italiani; ma che di italiano non hanno ovviamente niente.
Così il mercato all'estero dei prodotti finti-italiani, è arrivato ad essere più del doppio rispetto a quelli realmente fatti nel nostro Paese. E questo grazie al richiamo ed alla reputazione di qualità di cui gode il made in Italy.
Questo determina una importantissima perdita di guadagno per il settore, che poi si ripercuote a cascata sul resto dell'economia: in termini occupazionali, erariali e di valore dell'indotto.
Si dirà: è colpa della globalizzazione, delle logiche di profitto della grande distribuzione, del "dumping" e così via.Certo,tutto vero.
Ma quando sono le istituzioni, lo Stato stesso che promuove ed, anzi, investe in questi fenomeni commerciali "castranti" per la nostra economia...allora vuol dire che siamo all'autolesionismo.
E' il caso, come denuncia Coldiretti, della vicenda della Simest s.p.a.
Si tratta di una "società finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero" controllata dal Ministero dello sviluppo economico.
In pratica, la Simest ha utilizzato(secondo Coldiretti) denaro pubblico per finanziare aziende che vendono prodotti alimentari della tradizione italiana (con nomi italiani: italian sounding) ma realizzati con materie prime acquistate all'estero.
E' avvenuto con l'azienda casearia Lactalia, posseduta per il 29,5% dalla Simest, che utilizza latte rumeno per produrre formaggi commercializzati con denominazioni tipiche italiane.
Ed è avvenuto anche con la Parmacotto Usa,di cui Simest ha rilevato il 49%. Questa azienda distribuisce negli Stati Uniti salami come: finocchiona,bresaola,salame toscano,sopressata,pecorino,toscanella. Come dichiarato dallo stesso amministratore delegato dell'azienda(Alessandro Rosi), la metà delle carni lavorate proviene per lo più da Francia,Spagna,Germanaia e Danimarca.
Come detto in precedenza,questo tipo di sistema denunciato dalla Coldiretti sottrae letteralmente dalle aziende agricole italiane la bellezza di 60 miliardi di euro; e di conseguenza al sistema-paese.
In questa maniera lo Stato, attraverso la Simest, indirizza investimenti in attività di delocalizzazione; attività che oltre a costituire occasione di concorrenza sleale ai prodotti italiani, sottraggono colpevolmente opportunità di lavoro ed occupazione al sistema Italia.
A questo punto sono curioso di vedere come si comporterà il prof Monti.
La materia infatti dovrebbe essergli familiare, visti i suoi trascorsi di Commissario europeo alla concorrenza.
Questo potrebbe essere un buon banco di prova per capire se realmente, come alcuni temono (e tra questi il sottoscritto), il nuovo premier sia un tecnocrate fedele ai "poteri forti" o no.
Staremo a vedere...
Stay tuned
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