Lo ammetto:gli inglesi non mi sono particolarmente simpatici.Il loro atteggiamento da primi della classe,di censori e di maestri della democrazia e del buon governo mi dà sui nervi.Figuratevi poi quanto li posso amare quando un loro importante periodico come l'Economist si occupa della nostra Italia!Ora,i sentimenti che nutro per Berlusconi sono pressappoco della stessa specie di quelli che ho per gli inglesi;con questi ultimi in vantaggio sul vecchietto di Arcore...Fatta questa premessa,l'ennesimo articolo che attacca B. lo trovo,come sempre,qualcosa di irritante. Per carità,il fallimento del Cav è inequivocabile,e la sua sempre crescente impresentabilità non ammettono repliche.Quello che però mi infastidisce è il ruolo che l'Economist svolge subdolamente.
La stragrande maggioranza di voi che state leggendo è abbastanza smaliziata ed informata da comprendere a cosa mi riferisco.
Il periodico inglese è da sempre una sorta di avanguardia,di cassa di risonanza dei desiderata formulati dall'elite finanziaria della City londinese.Quello che i gentlemen del Potere,quello vero,pianificano in maniera discreta e riservata,viene fatto passare su testate come Economist;in questo modo si opera la "public suasion",e si prepara il terreno per l'impianto delle riforme neoliberiste.
Nel caso italiano,il tentativo di condizionamento dell'agenda politico-economica vanta una tradizione secolare.La "perfida Albione" da sempre si adopera per indirizzare lo sviluppo della nostra storia.Lo stesso Risorgimento è una loro raffinatissima operazione geopolitica.Ma questa è un'altra storia...
Venendo ai giorni nostri,l'esempio per eccellenza dell'ingerenza inglese e della sua capacità di pervadere la nostra politica,è l'episodio del "Britannia".
Era il 2 giugno del 1993.Cento giorni prima era stato arrestato Mario Chiesa,e Tangentopoli era già nel pieno del suo clamore.Tutto il sistema politico italiano vacillava paurosamente.Ma in quel marasma i potenti erano pronti a cogliere al volo le occasioni...
A bordo del Britannia, il panfilo della regina Elisabetta in rotta lungo le coste tirreniche,negli splendidi saloni del panfilo si danno appuntamento oltre centro tra banchieri, uomini d’affari,pezzi da novanta della finanza internazionale, soprattutto di marca statunitense e anglo-olandese.
A guidare la nostra delegazione - raccontano in modo scarno le cronache dell’epoca - proprio lui, Mario Draghi, che ai "signori della City" illustra per filo e per segno il maxi programma di dismissioni da parte dello Stato e di privatizzazioni. Un vero e proprio smantellamento dello Stato imprenditore.