giovedì 17 maggio 2012

Stati Uniti…dai debiti


Mentre sembra che gli occhi del mondo siano rivolti solo sulla crisi dei debiti sovrani europei, altrove ci sono realtà che non se la passano per niente meglio. Gli Usa, ad esempio, hanno uno dei più grandi debiti pubblici al mondo; ma se questo è abbastanza risaputo, quello che raramente viene raccontato è il dissesto finanziario di molti suoi Stati.


*Prima sono falliti i Comuni, sotto i colpi della crisi immobiliare. Poi sono entrati in crisi metropoli e contee americane che, in Italia, sarebbero province o piccole regioni. Infine, hanno iniziato a traballare Stati floridi e attraenti come la California.
Insomma, negli Usa che propagandano la ricetta della crescita contro la linea europea del rigore, la situazione non è così rosea.



E quando, come nello Stato della città degli Angeli, dopo anni di deficit in espansione – nel 2012, il buco di bilancio ha sfiorato i 16 miliardi di dollari, contro i 9,2 preventivati – l’amministrazione ha voluto far quadrare i conti, la strada praticata è stata quella dei tagli per 8 miliardi agli stipendi pubblici, alla sanità e alle pensioni. Una ricetta degna della Trojka per la Grecia.


Austerity Usa


Certo, a onor del vero, il governatore democratico Jerry Brown ci ha provato a proporre una tassa sui ricchi che, entro il 2013, con un prelievo sul reddito a chi guadagna oltre 250 mila dollari, porti in cassa entrate fiscali per almeno 7 miliardi.
Come al congresso di Washington, però, anche in California i repubblicani hanno alzato le barricate contro i Robin Hood. Mentre i compagni di partito democratici si sono opposti alle misure di austerity.
Così, da anni, i conti degli Stati hanno iniziato a scivolare in profondo rosso. E non solo nello Stato di Hollywood. Bensì in molte amministrazioni locali Usa dove la situazione è sempre più simile a quella greca.


Da Vallejo a Stockton: California in profondo rosso


In California, la china è iniziata nel 2007, con l’esplosione della bolla immobiliare che, come in altri Stati degli Usa, ha bloccato gli introiti dei Comuni, ripercuotendosi a cascata sui governi statali.
La prima amministrazione americana ad avviare la procedura fallimentare è stata, nel 2008, proprio la città californiana di Vallejo, che non ha più entrate dagli investimenti privati e dalle opere di urbanizzazione che, negli anni d’oro, avevano gonfiato la popolazione fino a 130 mila abitanti.
Con le casse vuote e senza poter pagare i servizi ai cittadini, alla fine il Comune di Vallejo è stato costretto a chiudere bottega, mandando a casa migliaia di dipendenti pubblici.


Buco da 38 miliardi


Nello scorso febbraio, un’analoga procedura fallimentare era stata approvata dal Consiglio cittadino di Stockton, il quarto centro più grande della California con oltre 290 mila abitanti e un deficit contabile di oltre 15 milioni di dollari.
Con i tempi che corrono, gli analisti hanno stimato un buco fino a 38 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2012-2013: un crollo di entrate che ha fatto paventare un crac del Comune già entro l’estate prossima.
Del resto, sono anni che, sempre in California, gli amministratori locali battono (invano) ogni strada, per dare boccate d’ossigeno ai disastrati conti pubblici.


Prostituzione e cannabis anti-crisi


Nel 2008, per esempio, il Comune di San Francisco propose di legalizzare le prostitute per abbattere le spese degli arresti e dei processi alle lucciole.
Poi, nel 2010, si tentò il referendum sulla liberalizzazione della cannabis. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, a Oakland i sostenitori crearono addirittura l’università di Oaksterdam (Oakland + Amsterdam), che formasse imprenditori della marijuana, in grado di rimettere in moto l’economia della città portuale in recessione.


Il default del Minnesota e Detroit verso il fallimento


I cittadini, tuttavia, dissero no al business della droga libera, convinti che non fosse questa la via maestra per scampare alla bancarotta.
Adesso, se quest’anno il governatore Brown non riuscirà ad arginare il crollo di introiti, in California avverrà quel default che, nel luglio 2011, è stato temporaneamente vissuto gli abitanti del Minnesota.
Lo Stato, bloccato dall’impasse politico, non era riuscito a raggiungere un accordo sul budget statale in grado di rifinanziare il debito. Così, l’amministrazione si trovò a chiudere di colpo tutti i servizi, mandando a casa 24 mila dipendenti pubblici.
Negli Usa, infatti, gli enti statali funzionano come aziende: quando non guadagnano si fermano, licenziano lavoratori, chiudono biblioteche e parchi come fossero negozi, fermano i cantieri. Per poi ripartire da zero senza troppe questioni.


La crisi del Minnesota


Pochi mesi prima, la contea di Jefferson, in Alabama, era stato il 12esimo ente locale, dall’inizio del 2011, a chiedere la protezione del Chapter 9: il codice di bancarotta degli Usa creato dal governo federale per contenere le situazioni di crisi e proteggere creditori e debitori.
Prima di Jefferson, tra le altre, era toccato a Harrisburg, capitale della Pennsylvania, e alla contea rurale di Boise, nello Stato dell’Idaho.
Con un deficit a lungo termine di 12 miliardi di dollari, inoltre, anche l’ex capitale dell’auto Detroit non naviga in acque serene.


Detroit, crac imminente


Il fallimento, secondo gli analisti, potrebbe arrivare già questa estate, con l’implosione di un deficit operativo di 270 milioni di dollari.
Una bancarotta destabilizzante per lo Stato del Michigan. Che, tuttavia, farebbe compagnia alla squattrinata California. E, stando a una stima dell’Independent center on budget and policy priorities, ad altri Stati federali in rosso – dal Nevada al Texas, dall’Illinois all’Oregon – sull’orlo del default, con quasi 125 miliardi di buchi in bilancio.




*Fonte: pertuainformazione.wordpress.com

4 commenti:

  1. Ciao Peppe. Nemmeno gli U.S.A. possono andare oltre i limiti del PIaneta...la crescita esponenziale è una idea tutta antropica, la Natura invece è ciclica e se non lo capiremo presto, la Natura lo farà capire in modo RAPIDO. E per niente simpatico. Oramai quando sento dire la parola CRESCITA l'unica cosa che mi fa venire sono i brividi lungo la schiena perchè significa che i leader mondiali ANCORA non hanno capito nulla. Possibile che non vogliano un Futuro desiderabile? Eppure esistono fior di studi scientifici che mostrano i megatrend delle criticità che DOVREMO AFFRONTARE TUTTI e sono i cambiamenti climatici, l'inquinamento, la scarsità alimentare e la sovrapopolazione.
    MAH...io non sono ecologista, carissimo, sono solo oggettivamente preoccupata. I limiti fisici sono un ostacolo evidente per tutti, ma non per chi deve decidere (decision makers). Economia, Ambinete e Società sono strettamente e inviolabilmente legate tra loro. Prima si capirà più sarà possibile una stabilizzazione con equità su questo pianeta diseguale e iniquo.

    RispondiElimina
  2. Sono d'accordo. Però si può ancora crescere; dove per crescita io intendo razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse.
    Inoltre è possibile, anzi è un dovere, investire nella bonifica e nella riqualificazione dell'ambiente; tutte cose che possono creare occupazione e ricchezza più diffusa: e anche questa è crescita.

    RispondiElimina
  3. Ciao Peppe! Proviamo a chiamarla crescita DIFFERENZIATA, così per essere un po' rompiscatole e scientifici. La crescita invece di cui PARLANO GLI ALTRI (quelli da brivido) è INDIFFERENZIATA.
    IL TUMORE è indifferenziato, mentre io e te e tutte le creature viventi a un certo punto dalle poche cellule identiche iniziali hanno cominciato a sviluppare OCCHI, MUSCOLI, PELLE E CERVELLO. E con un rigore equilibrato, mai un cuore eccessivamente piccolo o grande, mai una testa troppo piccola o grande. Sempre della GIUSTA dimensione. Ecco anche questo della GIUSTA DIMENSIONE, sarebbe un punto da riflettere.
    Non senti spesso parlare di CRESCERE all'infinito, magari con la falsa idea che la tecnologia possa aiutare? Posso darti un link al Paradosso di Jevons su wiki?
    http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_di_Jevons
    William Stanley Jevons era un ECONOMISTA, non un ECOLOGISTA...

    Scusami se rompo...ma io sono E.T;)

    Ti ringrazio ancora della stima e della simpatia.

    RispondiElimina
  4. Grazie per il link, non conoscevo il paradosso di Jevons. Così come con conosco una miriade di altre cose...
    Il bello del dialogo/confronto sulla rete è proprio questo: se fattocon le persone giuste è sempre un'occasione di crescita(sta parola, gira e rigira, te la trovi sempre tra i piedi!).

    Rimango dell'idea che ci voglia un pò di gradualità: prima bisogna far capire che il modello economico imperante è insostenibile (dal momento che le conseguenze le stanno sentendo tutti); poi, metabolizzata l'idea di cambiamento, si può sperare di far capire quello di cui parli tu.
    Questo almeno è il mio modo di vedere la cosa.

    Sempre con piacere,
    Peppe

    RispondiElimina