Quante volte avete letto o sentito frasi del genere? Si tratta delle risposte più comuni quando si affrontano i temi scottanti della crisi economica del terzo millennio. Appena si esce dal recinto del pensiero mainstream, si è bollati come pazzi visionari.
Ora però leggete con attenzione le parole che seguono:
“Finchè Unicredit e le Generali facevano le banche andava bene. Poi si sono buttati nella finanza e hanno perso la testa. Ho visto sotto i miei occhi trasformarsi Alessandro Profumo. Partecipazioni, fusioni, investimenti a pioggia inutili e perdenti, con l’unico fine di agguantare soldi veloci e facili invece che produrre impresa, con l’unico risultato di ottenere perdite colossali e bonus di uscita per diverse decine di milioni di euro. Le banche italiane hanno perso la testa. Ricordo il 1981. La mia azienda, dopo 20 anni, era diventata forte e solida. Avevo capito che la globalizzazione era alle porte e bisognava andare all’attacco del mercato americano. Ma non si cerca di entrare in Usa se non si è solidi finanziariamente. Abbiamo fatto le nostre ricerche e analisi e alla fine abbiamo calcolato che avevamo bisogno di una certa cifra molto alta. Mi rivolsi al Credito Italiano. Andai a parlare con Rondelli che la dirigeva. Gli dissi che volevo iniziare acquistando Avantgarde, un marchio americano che sarebbe stato il cavallo di Troia, ma non avevo i soldi. Presentai il progetto, il business plan, il programma, i rischi. Dieci giorni dopo mi convocò alla banca. Accettò. Mi presentai in Usa che mi ridevano in faccia. Dissero la cifra. Tirai fuori il libretto di assegni e firmai senza neppure chiedere lo sconto di un dollaro. Due ore dopo, l’amministratore delegato di Avantgarde mi confessò al bar penso di aver commesso il più grande errore professionale della mia vita e si ritirò dagli affari. Un anno dopo avevo restituito alla banca tutto il capitale con gli interessi composti, avevo aperto quattro nuovi stabilimenti e assunto 4.500 persone. Questo deve fare una banca. O in Italia lo capiscono e si danno una smossa, oppure si rimane alle chiacchiere e si affonda”.
Parole e musica di "tal" Leonardo Del Vecchio, milanese classe 1935, di professione imprenditore. Ma non un imprenditore qualsiasi; il più grande imprenditore italiano, fondatore e proprietario della Luxottica, la più grande azienda del settore ottico al mondo. Qualche numero?
- 7 miliardi di fatturato
- presenza in 132 nazioni
- 75.000 dipendenti totali
- 62.000 dipendenti in Italia
Si tratta di un colosso mondiale. Eppure Del Vecchio è sconosciuto ai più, per via di una riservatezza che è eguagliata solo dall'altra grande famiglia industriale dei Ferrero.
Qualche giorno fa il signor Del Vecchio, che è azionista di rilievo di Unicredit e di Generali, si è dimesso dal Consiglio direttivo della mega-compagnia assicurativa. E lo ha fatto in maniera rumorosa, in sfregio alla sua tradizione di uomo dal basso profilo pubblico. Infatti sentite cosa ha detto in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera:
“La mia è una protesta contro il management imprenditoriale di questo paese, composto da individui superficiali che non sanno nulla del loro lavoro, sono semplici contabili mitòmani. Mi sento davvero a disagio. Il vero problema è che quando da assicuratori si vuole diventare finanzieri comprando le più disparate partecipazioni senza comunicare nulla ai propri azionisti, non si fa un buon servizio né per l’azienda, né per gli azionisti, né per il paese. Mentre questo è un periodo in cui ciascuno dovrebbe fare il proprio dovere, ovverossia: fare ciò che sa fare. E chi crede che lo spread sia domato, si sbaglia di grosso. Basta un nulla per farlo schizzare a 600 e mandare la nazione a picco. È ciò che stanno facendo gli imprenditori italiani e le banche e i colossi assicurativi perché insistono nell’investire nella finanza: il rischio è alto ed estremo”.Imprenditore vecchia maniera, di quelli che considerano un successo l'espansione produttiva, la conquista di nuovi mercati, la creazione di nuovi posti di lavoro...il boss della Luxottica non manda giù la deriva finanziaria del capitalismo italiano. E non usa di certo giri di parole per chiarire il suo punto di vista:
“Il problema dell’Italia nasce quando si vuole fare finanza. Quando, le aziende, usando i soldi degli investitori e soprattutto dei risparmiatori, comprano un pezzettino di Telecom, e un pezzetto di una banca russa; si mettono a repentaglio – come nel caso delle assicurazioni Generali – ben due miliardi di euro alleandosi con il finanziere ceko Kellner e ci si impegna con la Citylife in una percentuale che nessun immobiliarista al mondo avrebbe mai accettato, com’è avvenuto nel 2009 quando hanno investito 800 milioni in fondi di investimento greci. Miliardi di euro sono andati in fumo. Erano soldi di imprenditori italiani che avevano investito con l’idea di poter poi spostare i profitti nel mercato del lavoro per tirar su imprese e creare lavoro. I manager responsabili di questi atti perdenti sono stati tutti promossi e saldati con stipendi multi milionari. Non si va da nessuna parte, così”.
Per Del Vecchio, le nuove leve dirigenziali del sistema bancario italiano sono tra le cause del declino economico del nostro sistema produttivo. I nostri super manager hanno letteralmente bruciato centinaia di milioni alla ricerca di rapidi ed avventurosi profitti; che poi nella maggioranza dei casi non sono arrivati, ma che hanno fruttato laute "buone uscite" alle loro autoreferenziali figure:
“Alle Generali l’amministratore delegato poteva disporre investimenti fino a 300 milioni di euro senza comunicare niente a nessuno. Lo stesso a Unicredit, Intesa SanPaolo, Mps. La verità è che nessuno sa dove vanno a finire quei soldi, dove siano andati a finire i soldi. La mia azienda alla fine dell’anno si ritrova circa 700 milioni di euro da investire. Andrea Guerra che è il mio amministratore ogni volta che deve spendere cifre superiori a 1 milione di euro, informa ogni singolo membro del consiglio e manda copia a ogni importante azionista. Pretende di avere delle risposte e pretende che si discuta del suo investimento perché vuole sapere l’opinione di tutti, compreso il collegio sindacale interno e il rappresentante sindacale dei lavoratori dipendenti. Perché l’azienda è anche loro. Il loro posto dipende dalle scelte di chi dirige. Ogni decisione presa viene valutata collettivamente. Se si rischia, lo sanno tutti, l’hanno accettato. Non esistono mai sorprese. Questa è la strada. Non ne esistono altre. O si fa così, o si chiude tutti quanti, baracca e burattini”.
Allora, alla luce di queste parole, il messaggio alla politica nostrana dovrebbe essere più che chiaro. Ed altrettanto dovrebbe esserlo per i soloni del giornalismo italiano.
Un atto d'accusa chiaro e cristallino come quello di Del Vecchio dovrebbe suscitare un grandissimo dibattito nel mondo della politica e dell'informazione, nonchè far vergognare il nostro establishment bancario.
Invece non succede nulla. Le dichiarazioni del nostro più importante imprenditore, del miglior esempio all'estero del nostro sistema industriale e gestionale, non vengono poste al centro dell'attenzione. Vengono bellamente ammantate di indifferenza e poste in un deferente oblio.
Meglio lasciare queste discussioni ad altre occasioni; magari aspettando che vengano sparate dall'informazione alternativa, dai bloggers indipendenti e da qualche comico prestato all'attivismo; quelli posso essere attaccati e coperti di ridicolo su commissione...
Intanto chi dirige il Paese è espressione delle logiche tanto avverse a quelli come Leonardo Del Vecchio. Ma nonostante questo sono benedetti dalla finanza globale e dalla cieca tecnocrazia europea.
Il problema è che i nodi poi vengono al pettine, e non si riesce più a "spicciarli". Dopodichè, non trovandosi più alternative,dovranno essere tagliati. E qualcuno si incazzerà; ma non solo a chiacchiere...
Allora non sarà bello per nessuno.
Stay tuned
Ciao Peppe. E che ne pensi del fatto che il governo dei tecnici (della finanza) chiama ULTERIORI tecnici (un tecnico alla seconda?) per risolvere la SPENDING REVIEW? Ma Ciarda non è GIA' un esperto?
RispondiEliminaE che tecnici poi...
Enrico Bondi ha 78 anni, ha lavorato SOLO per le imprese e NON SA NULLA DI STATO (come quelli che l'hanno chiamato). Per salvare Parmalat ci ha messo DIECI ANNI per poi regalarla ai francesi. E dello Stato italiano che ne farà?
Ci fa morire al 50% riducendo giocoforza le spese, poi ci vende ai cinesi?
Scusa ma io sono stanca di sentire sciocchezze o di vedere sciocchi che sono nei posti di comanda. Ha ragione un mio amico di Roma: se si dovessero scegliere i nostri governanti estraendo a casaccio tra i cittadini maggiorenni e incensurati si otterrebbero risultati o simili (il peggio è impossibile) o addirittura meglio.
Se sei bravo ti segano, questo è l'unico dato certo che ho, e se poi SEI BRAVA ...APRITI CIELO...w l'italia.
Quanto hai ragione...
RispondiEliminaUna delle cose che più mi fa rabbia è la constatazione del fatto che abbiamo tantissime belle intelligenze, ma tutte rigorosamente lontane dalla stanza dei bottoni.
Lo so, è una constatazione banale; ma da questa banalità discendono tanti dei nostri guai. La società civile, nelle sue avanguardie intellettuali, è in disarmo(in senso lato).
Non c'è la capacità di scendere in campo ed organizzare una risposta civile potente e capillare. Eppure il terreno sarebbe molto fertile...,ma niente. Ovviamente sono il primo ad ammettere la mia incapacità!